
L’amore per la terra dà solo buoni frutti, diceva una pubblicità. Possiamo intendere “terra” sia come elemento, sia come territorio. Antonio Abruzzese, un agricoltore molisano (di Colletorto), ne è la dimostrazione.
Ci parlerà della sua esperienza e della sua attività, che ha saputo evolversi e modernizzarsi, ma anche del suo rapporto con la sua regione e il territorio.
Ci teniamo a precisare che questa intervista è stata condotta a distanza, triangolando tra Milano (Cologno Monzese), Singapore e il Molise, nel rispetto delle misure per il contenimento del virus Covid-19. Pur amando la tradizione, ci piacciono molto le innovazioni tecnologiche che ci offrono la possibilità di interagire a distanza. In fondo, questa è una delle caratteristiche dell’agricoltura: saper conciliare la tradizione con l’innovazione, il vecchio con il nuovo.
Antonio, ci racconti qualcosa di lei. Quale percorso di studi e professionale, ma anche personale, l’ha portata a dedicarsi all’agricoltura?
«Sono un perito agrario, ma purtroppo per motivi di lavoro non ho potuto continuare gli studi avviati presso l’Università degli Studi del Molise, dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’ Ambiente. Ciò che più mi lega a questo settore è sicuramente la passione per la terra e per il nostro territorio. Spesso mi soffermo a osservare e trovo meraviglioso la presenza insieme di mare, colline e montagne. Se a questo aggiungiamo anche le città molisane, così ricche di arte e di storia, il connubio non può che essere favoloso».
Come è nata la sua passione per l’agricoltura? È qualcosa che si tramanda nella sua famiglia da generazioni?
«È una passione di famiglia, tramandata di generazione in generazione. La mia famiglia lavora da sempre in questo settore e la loro dedizione continua e il loro amore per la terra ha alimentato in me interesse ed entusiasmo fin da piccolo. Ho deciso di prendere in mano l’azienda di famiglia e sento di poter dire che gli sforzi di questi anni hanno prodotto i risultati sperati, con un incremento significativo della produzione e del fatturato. Ovviamente, questo è il risultato di un lavoro di squadra, guidato dagli insegnamenti dei miei genitori».
Oltre alle coltivazioni tradizionali, si dedica anche all’agricoltura biologica. Può spiegarci quali sono le differenze più importanti che ha notato rispetto alla pratica dell’agricoltura convenzionale?
«Esatto, sto convertendo interamente l’azienda olivicola in bio. Una scelta ponderata e spinta dal fatto che le caratteristiche del nostro territorio lo rendono adatto a coltivazioni ibride, per le quali non è necessario effettuare trattamenti chimici. Grazie ad una corretta gestione, le nostre piante non richiedono concimazioni consistenti. Inoltre, rispetto alla coltivazione convenzionale, fare bio ci permette di conservare la fertilità del suolo e di minimizzare l’impiego di sostanze chimiche, con i conseguenti benefici non solo ambientali ma anche, e soprattutto, salutistici. Sono fiero di poter dire che, sotto questo punto di vista, nascere e vivere in Molise è davvero un privilegio».
In base alla sua esperienza, quali conseguenze ha questa scelta a livello pratico?
«A livello pratico il regime biologico è più difficile da gestire. Bisogna osservare la pianta, capire quello di cui necessita e in quale momento effettuare le lavorazioni. Non è un lavoro semplice e richiede una dedizione continua. Pensi che in casi particolari, ci affidiamo anche all’influenza lunare. Sappiamo fin dall’antichità che la luna condiziona alcuni aspetti della vita sulla terra, tra cui la crescita delle piante e l’imbottigliamento del vino».
Ci parli meglio degli oliveti. Quali tecniche utilizza per garantire che le olive prodotte siano di primissima qualità? Non utilizzare pesticidi e fertilizzanti chimici è sufficiente?
«Attenzione alle condizioni climatiche, monitoraggio continuo e corretta gestione della pianta sono le parole chiave. In più, è importante rispettare i ritmi della natura e seguire tutte le fasi che precedono la raccolta. Si parte dalla giusta potatura, che permette alla linfa di raggiungere ogni singolo ramo. Poi c’è la spollonatura, essenziale per fornire le energie alle parti produttive. Infine, la gestione ottimale del suolo. Io adopero la pratica dell’inerbimento spontaneo, che rilascia nel terreno una sostanza organica e i tanti profumi che ritroviamo poi nel prodotto finale».
Ci ha parlato di inerbimento spontaneo e spollonatura. Può raccontarci qualcosa in più su queste tecniche?
«Senza addentrarci in troppi tecnicismi, l’inerbimento è un modo di gestire il terreno che permette di tenere sotto controllo le piante infestanti degli alberi da frutto. In sostanza, consiste nel rivestire il terreno occupato dalla coltura principale con una copertura erbacea. Il vantaggio principale è quello di avere un impatto ambientale molto basso. La spollonatura, invece, consiste nell’eliminazione dei polloni che partono dalla base del fusto, lasciando solo quelli che possono contribuire al rinvigorimento della piante».
Usa pesticidi o sostanze chimiche?
«Assolutamente, non li usiamo e non li useremo. È uno dei nostri capisaldi».
Sempre più olivicoltori stanno abbandonando il mondo dell’agricoltura per dedicarsi ad altre attività come, ad esempio, lavori d'ufficio. Ma anche loro avranno bisogno dei prodotti della terra per sopravvivere. Qual è il punto di vista di chi come lei ha fatto una scelta diametralmente opposta, anche come vita?
«Il lavoro, anche quello agricolo, è cambiato. Prima, per coltivare un terreno bastava la zappa; oggi al lavoro manuale si deve affiancare la conoscenza e la “penna”. Il lavoro d’ufficio è fondamentale per poter gestire l’azienda agricola: la burocrazia è sempre più difficile e complicata, quindi anche nel settore agricolo c’è bisogno di persone in grado di occuparsi di questi aspetti».
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